Manolo Blahnik: non c’è niente di più indispensabile del superfluo

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Manolo Blahnik
Manolo Blahnik

“Go make shoes”, “vai a fare scarpe”: questo fu il consiglio di Diana Vreeland, direttrice di Vogue USA nel lontano 1971, a un giovane Manolo Blahnik. Sembra quasi di vederla: magra, sguardo vispo e ilare, ben vestita, con in mano i disegni di quest’illustre sconosciuto che, dopo aver passato una vita fra i banani di famiglia, si laurea in letteratura e architettura e poi si mette a fare lo stilista. Sfoglia il libriccino che tiene fra le dita, si stupisce fra sé e sé senza dare nell’occhio, spalanca le palpebre e intima, quasi, a un Manolo Blahnik poco meno che trentenne di andare a fare scarpe. Nelle tre parole perentorie della Vreeland non si cela un semplice consiglio. C’è un lampo, nella sua considerazione, un’intuizione, un bagliore che va oltre il mero apprezzamento di un esperto del settore. Individuare il fatto che Manolo Blahnik fosse Manolo Blahnik prima che il suo nome diventasse l’ “abracadabra” in grado scongelare la ragazzina frivola che si cela anche dentro le donne più austere, deve essere stato quantomeno soddisfacente. Diana Vreeland ha avuto modo di assistere all’ascesa del giovane Blahnik, che ora produce scarpe che sono fra le più barocche, audaci e originali che ci siano sul mercato. La soddisfazione derivante da quel “te l’avevo detto!” con cui solo la Vreeland avrebbe potuto apostrofare il grande stilista dev’essere stata quasi più appagante del fatto stesso di aver scoperto Manolo Blahnik. Paragonare il nome di quest’uomo a una parola magica non è fuori luogo; “Manolo Blahnik” è quell’ “apriti sesamo” in grado di determinare la differenza fra chi indossa scarpe per camminare e chi indossa scarpe per le scarpe stesse. Le calzature che produce, le “Manolos”, come vengono chiamate, sono un’antonomasia nel mondo della moda. Per scoprire quanto Manolo Blahnik sia noto, amato e addirittura venerato non bisogna essere delle fashion-victim: basta girare la televisione su vecchia puntata di “Sex and the City”, guardare distrattamente “Il diavolo veste Prada” o aprire per caso Vogue. Manolo Blahnik è onnipresente con le sue scarpe, che non si rivolgono, certo, alle donne che celebrano nel proprio “orgoglio fashion” una sorta di bisogno di corrispondere al trend, ma a tutte coloro che non sono disposte a far sacrificare il proprio stile sull’altare della moda, e vivono il

Pumps rosa, by Manolo Blahnik
Pumps rosa, by Manolo Blahnik

rito del vestire il proprio corpo come una sorta di operazione artistica. Manolo Blahnik non produce scarpe per gli armadi di chi vuole essere fashion, ma per tutte coloro che vogliono brillare della propria luce e a prescindere dalla modalità secondo la quale dovrebbero farlo, dando retta ai vari trend, per i successivi due o tre mesi. Non è la frivolezza della donna che veste che va ad appagare Manolo Blahnik, ma la sua necessità di darsi un senso ricorrendo a ciò di cui non ha bisogno. Così come l’uomo celebra il bello e l’arte, allo stesso modo sceglie di comprare delle Manolos. Che non si storca il naso quando si parla di amore per il “superfluo”. Tutto ciò che ci dà un senso a prescindere dalle poche cose che ci sono indispensabili per sopravvivere lo è, dalla letteratura, alla filosofia, dalla musica d’autore agli orologi d’oro. Tutto ciò che è superfluo si colloca in cima a una sorta di “montagna del senso”, alle pendici della quale si trova il concetto di “indispensabilità”. Man mano che ci si allontana dall’idea di “necessario” ci si avvicina al meraviglioso mondo del prescindibile, dell’accessorio. Il dato di fatto da cui partiamo nell’osservare questa montagna metaforica è inequivocabile: quando ci si accontenta di scalarne solo una parte, si è insoddisfatti. È come se mancasse qualcosa, come se ciò che basta per vivere, la base, non fosse abbastanza.

Sandalo, by Manolo Blahnik
Sandalo, by Manolo Blahnik

Se rimanessimo nell’ambito delle scarpe, potremmo dire che Manolo Blahnik è uno dei tre pilastri su cui si regge, di solito, ogni sorta di “orgoglio fashion”. Insieme a Jimmy Choo e Christian Louboutin, il nome di Manolo Blahnik è quello con cui ci si riempie la bocca se si vuole trovare una scusa di fronte al proprio amore per le scarpe spacciandolo per una sorta di ossessione artistica, ma è anche, per chi declina conferendogli un senso il proprio “orgoglio fashion”, fonte inesauribile di uno stupore che può rivendicare senza vergogna un’affinità con ciò che si prova di fronte a un bel quadro. La domanda che viene spontaneo porsi, in questa sede, è, tutto sommato, semplice: perché proprio lui? Cosa hanno di speciale le scarpe di Manolo Blahnik? Per quale motivo la Vreeland fu così colpita da ordinargli di andare a fare scarpe? Torniamo a immaginare la montagna di prima, sulla cima della quale vivono tutte le ambizioni, gli obiettivi e gli attimi di vita che sono, per noi, portatori di quel senso che non troviamo nell’appagamento dei nostri bisogni primari. Il superfluo, in questo caso il lusso, il bello da indossare, l’inutile e prezioso da sfoggiare, non costituiscono un surplus che sorvola le teste degli abitanti del mondo, ma una motivazione che spinge a scalare la montagna. Manolo ha costruito la propria casa lassù, in un luogo che la maggior parte delle persone guarda dal basso. Lavorare nel mercato del lusso significa investire su qualcosa di cui le persone non hanno bisogno ma che, tuttavia, gli manca. Manolo Blahnik lavora su quel “qualcosa” che quando c’è fa la differenza, sull’esigenza tutta femminile di essere fuori così come si è dentro e di sfoggiare la propria essenza indossandola. La cosa assurda che accomuna i grandi stilisti è che non credono di lavorare per il mercato della moda: “trends don’t interest me”, dice Manolo Blahnik. È proprio questo il punto. Dalla cima della sua montagna, Manolo produce ciò che non segue la moda, la quale non si trova fra le cose della vita che ci danno un senso, ma, probabilmente, fra quelle che si limitano a darci un tono. Manolo dà al mondo quel superfluo di cui ha bisogno, produce gioielli a forma di scarpe senza avere interesse per le tendenze. È questo che rende grande Manolo Blahnik: il senso che si cela dietro le sue scarpe è quel segreto che impedisce alle donne di essere felici di ciò che le rende uguali alle altre e che fa sì che dalle uguaglianze e non dalle divergenze nascano guerre. Dietro le scarpe di Manolo Blahnik si nasconde il mistero per il quale non è la moda ad appagare, ma ciò che nel mercato dell’abbigliamento riusciamo a trovare di simile a noi e di diverso da tutte le altre. Manolo Blahnik ha intercettato l’esigenza, tutta femminile, di essere speciale, di non essere uguale alle altre. Non è forse questo, davvero, il lusso? “Non c’è niente di più indispensabile del superfluo”, si dice. Per quanto mi riguarda, questo proverbio potrebbe averlo inventato Manolo Blahnik.

Viviana Concas

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